Dei fumetti di Iron Man che leggevo da ragazzo mi piacevano certi titoli roboanti: Sotto l’armatura batte un cuore, Un tremito di memoria, una svolta della mente, Il sipario si alza sul gioco della morte. Leggevo le sue storie, che erano spesso le mie preferite dell’intero albo, in appendice a DEVIL prima e a L’UOMO RAGNO poi, nel cuore degli anni ’70. Quindi in edizione americana nei lunghi anni di traversata del deserto, prima che l’Uomo di Ferro tornasse in Italia per i tipi della Playpress dal 1989 al 1994, e quindi sotto la mia direzione, col marchio Marvel Italia/Panini Comics.
Mi piacevano le storie di George Tuska, avevano una loro drammatica sciatteria, un pelo di sottile trasgressione, e il povero Tony Stark, con il cuore a pezzi spesso non solo metaforicamente, che se la vedeva con Firebrand, Midas, Madame Maschera (Madame Maschera!), il Mandarino, Titanio, ma anche con il Mostro di Frankenstein, il Lama Nero (il Lama Nero!), il Controllore e non solo. Mi piacevano le storie di John Romita JR, quelle nello spazio, quelle dell’alcolismo, quelle del laser vivente, di Fin Fang Foom, della seconda guerra delle armatura. Ma mi sono piaciute anche le storie di Bob Layton, di John Byrne, Joe Quesada, Sean Chen, e ovviamente le ultimissime, spettacolari, di Warren Ellis e Adi Granov, che hanno creato l’Iron Man moderno, la fusione tra macchina e uomo oramai arrivata all’ultimo stadio, al livello genetico, alla carne che quasi si fonde con il metallo.
Con queste premesse, sono andato a vedere il film di Iron Man con grosse aspettative, dopo aver letto parecchi commenti entusiastici: dopo aver aspettato la scena “bonus” alla fine dei titoli di coda, unico pazzo assieme a 3 amici e a un’altra coppia di spettatori bene informati, sono uscito dal cinema molto soddisfatto, quasi euforico, con tante idee e riflessioni in testa.
Ho pensato ai primi film di supereroi “moderni”, Superman e Batman. I registi e produttori avevano preso solo le idee di base dei fumetti, e le avevano poi totalmente rivedute e corrette, a loro piacimento, spesso modificando origini e look, adeguando il casting alle loro idee anziché alle esigenze del fumetto (ecco quindi Luthor con i capelli, o un Batman senza phosique du role).
Nei film di super eroi contemporanei, pur con l’esigenza cinematografica di compattare in due ore una serie di spunti narrativi che a volte vengono da anni di storie, il rispetto nei confronti della fonte originale è molto forte. Anche se va tutto ammodernato, hollywoodizzato, rifinito, le aspettative dei fan, dei lettori originali, non vanno deluse. Pepper deve essere rossa. Tony deve avere i baffi (beh, il pizzetto, come da ultimi sviluppi dei comics). Deve costruire l’armatura in prigionia, deve diventare amico dello scienziato che lo aiuta. Deve rinunciare a costruire armi. Deve avere come migliore amico un pilota dell’aviazione di colore. Deve avere una guardia del corpo ex-pugile che si chiama Happy (Hogan, interpretato dallo stesso regista del film, Jon Favreau).
Poi, una volta stabilito un grosso “blocco” di aspetti che sono ripresi pari pari da intere annate dell’IRON MAN a fumetti, si possono fare i “tweak”, gli aggiustamenti.
Dal Vietnam si passa all’Afghanistan. Obadiah Stane da rivale in affari diventa un socio. La location dell’azione da New York diventa Los Angeles (ma Iron Man si è anche mosso in California per parecchi anni). Jarvis da maggiordomo in carne ed ossa diventa un assistente computerizzato. Il signore della guerra che cattura Tony ha come aiutante un tipo calvo e mongolo che manipola nervosamente un anello (e il suo gruppo si chiama “i Dieci Anelli”, giusto per fare capire il riferimento al Mandarino anche ai più ottusi…).
E poi, su questa struttura che mescola quel che possiamo aspettarci con qualche strategica “revisione”, ci si mettono i dialoghi, la caratterizzazione, i combattimenti, le battute, gli effetti speciali, le location.
Il risultato –nel caso di Iron Man – è decisamente ben riuscito. Iron Man è uno dei migliori film di super eroi (ormai un genere a se stante) di tutti i tempi, lassù con Spider-Man I e II e X-Men II, forse un pelino più riuscito non fosse altro che per la forte performance di Robert Downey Junior (che sembra NATO per essere Tony Stark, tutto energia, coraggio, ironia, faccia tosta) e dei suoi tre co-protagonisti, Gwineth Paltrow perfetta nei panni della rossa assistente Pepper Potts, Jeff Bridges, nel ruolo del socio Obadiah Stane, e Terrence Howard nel ruolo dell’amico James “Rhodey” Rhodes.
Iron Man è da segnalare come primo film Marvel a tentare la costruzione di un universo più ampio, come ben spiegato nella “scena nascosta” in coda ai titoli finali, e l’imminente apparizione di Tony Stark nel film L’INCREDIBILE HULK sarà il primo “crossover filmico” mai tentato dalla Marvel, testa di ponte per la creazione di una continuity vera e propria in celluloide anziché su carta. E nel film ci sono già ben presenti almeno un paio di spunti per eventuali sequel, nonché i “semi” per un film dello SHIELD e/o per uno dei Vendicatori. Quindi un film che funziona non solo a sé stante, ma anche come tassello per la costruzione di un meta-universo, qualcosa di mai tentato prima, ma che poteva venire solo dalla Casa Delle Idee che sull’elaborazione di un cosmo di fiction coerente ha costruito la sua grandezza in oltre 45 anni di storie.
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Commenti
aLeX 05/mag/2008
imp.bianco 05/mag/2008
Nuzzo 07/mag/2008
Marco 08/mag/2008
Marco 08/mag/2008
Giacomo Brunoro 13/mag/2008